Gli animali, (come abbiamo detto nella nota precedente ), ragionano per semplici associazione di idee, senza farsi molte idee astratte; ma possono arrivare all'idea di numero ? Secondo me, intuitivamente, si puo' arrivare anche a fare qualche tipo di calcolo e distinguere uno da due o tre, ma dopo c'e' "molti". Avevo una gatta che ogni tanto, per sicurezza, spostava i suoi gattini, e se ne scordava sempre qualcuno, non sapeva contare fino a cinque, ma se erano uno o due lo capiva.
Noi per contare, all'inizio, ci aiutiamo con le dita, ne abbiamo dieci, di qui il sistema decimale. Quando, contando sulle dita, le abbiamo finite ci segniamo da qualche parte che abbiamo fatto la decina e ricominciamo con undici, dodici e cosi' via [1].
Come nasca il concetto di numero e' un interrogativo molto dibattuto. L'uomo conta da sempre e non ci ricordiamo come abbia cominciato. Spesso troviamo che il numero e' inteso non solo come una nostra particolare astrazione, ma come un qualcosa di reale, una entita' oltre la materia; al solito, si confonde il prodotto del proprio pensiero con la realta'.
Alcuni filosofi greci (ad esempio i Pitagorici del 4-500 avanti Cristo) cercavano di definire il numero come una specie di continuazione dell'uno, l'uno diventa una specie di principio primo per i numeri, ma non solo, assume anche un aspetto un po' metafisico. Per la storia del concetto di numero vedi ad esempio: numero, su treccani.it
Coi numeri misuriamo la quantita'; un'altra astrazione difficile da definire; forse "molto" e "poco" contengono gia' una prima idea di quantita' (e possiamo supporre che molti altri animali ci arrivino), ma il numero e' qualcosa di piu': come quantita' esprime le idee di maggiore, minore ,uguale, ed e' legato all'idea di somma e sottrazione, e poi i numeri sono anche una fila ordinata, percorriamo la fila in un senso sommando e nell'altro sottraendo; rappresentano insieme queste due astrazioni: quantita' e sequenza; come astrazione i numeri son una cosa abbastanza complicata, perche', come al solito mischiamo insieme idee diverse in un unico concetto.
Qui in occidente li ordiniamo da sinistra a destra (il senso con cui scriviamo), quelli di destra sono i piu' grandi, e, siccome possiamo sempre aggiungere numeri alla nostra fila, questa diventa lunghissima e diciamo che e' infinita. Ma l'infinito non e' un numero, non sappiamo farci delle operazioni, e' una procedura: l'idea di poter aggiungere sempre qualcosa alla nostra fila.
Se andando a destra nella nostra fila abbiamo l'infinito, cioe' il fatto che si puo' sempre andare avanti; andando a sinistra troviamo l'uno e se togliamo uno lo zero, e poi vogliamo andare ancor di piu' a sinistra e ci inventiamo i numeri negativi, che sono la fila dall'altra parte dello zero [2].
Quest'idea dei numeri negativi, che poi nella contabilita' sono i debiti (che come quantita' da togliere sono sempre esistiti), ci permette di sommare e sottrarre come vogliamo restando sempre nell'ambito della fila, cioe' nell'ambito dei nostri numeri, fino all'estrema sinistra dove abbiamo un infinito negativo [3].
I numeri positivi: 1,2,3... , lo zero e i negativi sono chiamati dai matematici "numeri naturali" e ci facciamo operazioni come somme e sottrazioni; E poi abbiamo somme ripetute, per esempio dobbiamo aggiungere tre sei volte, e per semplificare le cose ci inventiamo la moltiplicazione e diciamo che tre per sei fa diciotto, che e' piu' veloce che fare sei somme. Una volta a scuola si imparavano a memoria le tabelline: tutte le moltiplicaizoni dei numeri da uno a dieci fra loro, e con queste facevamo tutte le moltiplicazioni.
Oltre la moltiplicazione c'e' la divisione; che nasce dalla necessita' pratica di dividere beni fra piu' persone; dividere in due o tre parti e' una cosa che si puo' fare senza numeri, ma divisioni complicate sono piu' difficili, e allora troviamo che la divisione e' l'operazione inversa della moltiplicazione, e anche qui ci inventiamo un sistema pratico per fare tutte le divisioni e le tabelline ci aiutano.
Dato che il nostro senso principale e' la vista, e usando disegnini capiamo meglio, alla fine i numeri li disegnamo e usiamo simboli grafici per rappresentare numeri ed operazioni [4].
Usando i simboli per le operazioni numeriche facciamo una ulteriore astrazione, e finiamo per unire in un unico concetto il numero (o l'operazione) ed il suo simbolo. Questo ulteriore passo ci permette di definire regole formali per le operazioni; lavorando coi simboli tutto e' piu' facile e troviamo relazioni fra queste nostre astrazioni, che cosi', diciamo "a occhio" non vedevamo facilmente. Abbiamo le proprieta' commutativa e associativa, per somme e moltiplicazioni; la distributiva della moltiplicazione e divisione rispetto a somma e sottrazione; la invariantiva della sotttrazione e divisione. Con queste cose possiamo trattare calcoli complicati in modo formale, lavorando coi nostri simboli grafici e le nostre regole, nello stesso modo per qualunque numero.
Ma l'uso dei simboli ci porta oltre, e se usiamo lettere per indicare numeri generici, possiamo scrivere espressioni generiche che hanno valore per qualunque numero sostituiamo alle lettere usate. Con questo facciamo una ulteriore astrazione e trattiamo non i singoli numeri, ma le loro proprieta' e relazioni, una cosa infinitamente piu' potente che non contare sulle dita [5].
Quando poi le cose diventano piu' complesse, ed i problemi matematici piu' difficili, si finisce per creare ed utilizzare tutto un gergo matematico simbolico specifico per descrivere la struttura del problema.
Questo puo' essere una cosa molto utile, perche' esplicitare certe strutture logiche le rende riconoscibili in contesti diversi e si possono riutilizzare. Ma i matematici finiscono per credere nelle loro strutture, dimenticano le idee intuitiva da cui si era partiti, e lavorano elencando definizioni ed assiomi per cose inventate, ideali, e poi dimostrano teoremi e vivono in questo mondo di astrazioni di astrazioni e chi non fa parte del loro club non capisce piu' di cosa si stia parlando. Cosi' si parla di "anello", di "corpo", di "gruppo" che paiono cose un po' astruse, ma esprimono poi semplicamente la struttura dei numeri con le solite operazioni: somma, sottrazione, divisione e moltiplicazione; ma senza piu' i numeri. Si considera solo la loro struttura algebrica.
Ma torniamo ai nostri numeri interi, la nostra fila, nata contando sulle dita. Ci siamo creati l'idea di quantita' che maneggiamo con somme e sottrazioni e poi ci siamo inventati la moltiplicazione e la sua inversa, la divisione; tutto questo ci risolve diversi problemi pratici come suddivisione di beni o pagamenti e riscossioni. Ma ecco, ci sono numeri che non si dividono fra loro, ad esempio il cinque ed il due: per dividere faccio due parti di due e uno mi avanza. Questi nostri numeri non descrivono correttamente le quantita': 5/2 non e' uno dei nostri numeri, ci siamo inventati numeri che non funzionano; se cerchiamo di dividere 5 cose in due parti uguali abbiamo che ne resta fuori una. Abbiamo delle divisioni con il resto.
Nei casi pratici possiamo risolvere il problema dividendo in parti il resto; lavorando in base dieci lo dividiamo in 10 parti e ci inventiamo la notazione con la virgola: dopo il numero intero mettiamo una virgola e dopo mettiamo le decime parti del resto, se non basta dopo mettiamo le centesime parti, i millesimi e cosi' via; e cosi' 5/2 diventa 2,5. Sembra che abbiamo risolto il problema... i nostri numeri li abbiamo fatti funzionare.
Ma anche qui sorge un problema, 10/3 non riusciamo a rappresentarlo in base 10 in questo modo: viene 3,333333... con un numero infinito di tre [6].
Ed allora risolviamo il problema inventandoci le frazioni, che sono divisioni fra interi che non sappiamo fare. Ce le teniamo cosi' e decidiamo che anche le frazioni sono numeri. I matematici chiamano l'insieme dei numeri naturali e delle frazioni: "numeri razionali", e anche qui definiamo tutto un sistema formale per trattarli e quando una nostra operazione complicata ha come risultato una frazione ce la teniamo cosi' come e'. Per i casi pratici facciamo delle divisioni approssimate, usiamo i numeri con la virgola, e dopo un po' di cifre dopo la virgola ci fermiamo. Anche con i numeri periodici facciamo uguale e ci fermiamo dopo un certo numero di cifre decimali.
Insomma i nostri numeri non funzionano, non descrivono bene le quantita', ma con un po' di aggiustamenti li facciamo funzionare per forza, inventandoci le frazioni.
Ma c'e' ancora di peggio: fin dai tempi dei greci, o anche prima, si studiavano figure geometriche, specie quelle disegnate su un piano. Questo studio aveva diverse applicazioni pratiche, dalla suddivisione dei campi alla costruzione di edifici. Dopo il punto e la retta, ci sono figure piane, come il quadrato e il triangolo e le altre che studiamo a scuola e sono poi quelle dei lavori di Euclide ( 300 A.C.).
Anche qui, studiando figure geometriche, in un certo senso si usano i numeri: le lunghezze dei segmenti sono quantita' su cui possiamo trovare relazioni di maggiore, minore, uguale e possiamo anche sommare e sottrarre segmenti fra loro, aggiungendoli uno di seguita all'altro o togliendoli. Usiamo i nostri numeri anche per le aree, intendendo un'area come prodotto di due numeri; ad esempio nel rettangolo base ed altezza.
Ma sorgono problemi nell'usare i nostri numeri per la geometria: ad esempio nel quadrato voglio misurare la diagonale usando come unita' uno dei lati, o usare il raggio di un cerchio come unita' per misurare la circonferenza. Non si riesce, la circonferenza non e' un numero intero di raggi, e neanche una frazione.
E questo si riallaccia al problema delle radici; come da somme ripetute creiamo le moltiplicazioni, cosi' dalle moltiplicazioni ripetute creiamo l'elevazione a potenza, che rappresentiamo con la simbologia degli esponenti: per esempio 2 x 2, che vale 4, lo indichiamo con 22. Ma poi vogliamo fare l'inverso degli esponenti: ed introduciamo le radici, cosi' la radice quadrata di 4 e' il numero che moltiplicato per se stesso da 4, cioe' 2, e lo scriviamo come √(4). Ma ci sono radici che non riusciamo a calcolare; ad esempio, se vogliamo esprimere la base del triangolo rettangolo isoscele in funzione degli altri lati, non riusciamo: se diciamo che il lato vale uno la base (teorema di Pitagora) vale √(2). Questa lunghezza non e' uno dei nostri numeri; siccome la abbiamo disegnata pensiamo che esista, ma non riusciamo a dargli un valore. Se proviamo a calcolarlo, come numero con la virgola, ci troviamo un numero infinito di cifre, che non e' nenche periodico.
I "numeri razionali" non sono adatti a descrivere lo spazio, neanche usando le frazioni [7].
I greci dell'antichita' si limitavano a confrontare figure geometriche, ma noi vogliamo proprio descrivere tutti i punti dello spazio con dei numeri; in un certo senso vogliamo usare l'algebra per la geometria e descrivere lo spazio con dei numeri, cosa molto utile. E' un'idea che nasce con i lavori di Descartes nel 1600, che per farlo si inventa gli assi cartesiani. Questi sono due righe perpendicolari di numeri, che si incrociano nello zero e ci permettono di identificare ogni punto del piano con due valori: in che posto e' in orizzontale (asse delle ascisse o delle x) e in verticale (asse delle ordinate o delle y). I valori x ed y li chiamiamo coordinate del punto. Per identificare i punti di uno spazio in tre dimensioni si mette anche una riga di numeri in verticale (asse delle altezze o delle z).
Questo modo di usare i numeri per dare un nome ai punti dello spazio ci permette di rappresentare forme geometriche con espressioni matematiche. Usando espressioni complicate possiamo descrivere tante figure e calcolarne le dimensioni e con relativa facilita', una grosso passo avanti rispetto al semplice confronto di figure della geometria di Euclide. E cosi' ci siamo abituati a considerare un po' come una cosa sola il numero e la sua rappresentazione spaziale, e se pensiamo a formule complicate finiamo per pensare agli insiemi di punti (le curve) che rappresentano nello spazio; cose che disegniamo, e, vedendole disegnate, le capiamo meglio.
Il problema dei valori che non tornano, come radice di 2 o il rapporto fra circonferenza e diametro del cerchio, si risolve al solito modo, decidendo che anche queste cose sono numeri, chiamati "irrazionali" e nei calcoli li rappresentiamo con simboli particolari, come π. Ce li portiamo dietro nei conti, senza mai fare veramente somme o moltiplicazioni con gli altri numeri, quelli "razionali".
Se ci serve usiamo delle approssimazioni dei numeri "irrazionali", siccome non sono interi o frazioni ci vorrebbero infinite cifre per dare il loro valore; ma per gli usi pratici, ci accontentiamo, al solito, di lavorare con le sole cifre che ci servono.
E siccome per gli irrazionali abbiamo l'idea che possiamo usare approssimazioni a piacere, tanto hanno infinite cifre, proprio per esagerare, si decide che tutto quello che possiamo approssimare quanto vogliamo e' un numero. E i matematici chiamano l'insieme dei numeri razionali e irrazionali: "numeri reali".
Ma neanche l'invenzione dei numeri reali ci permette di far tornare tutto: se vogliano fare radici di numeri negativi andiamo incontro a problemi, perche' ad esempio la radice quadrata di -1 proprio non la sappiamo fare; e allora ci si inventa i numeri "immaginari" che sono le radici di numeri negativi; usiamo il simbolo "i" per indicare √( − 1), e ci facciamo una matematica dei numeri "complessi" che sono somma di due parti, un numero normale (reale) e una parte immaginaria. E per finire definiamo somme, differenze, moltiplicazioni e divisioni anche fra numeri complessi, con tutte le loro regole formali.
L'idea che ad ogni punto dello spazio debba corrispondere un numero, e che ad ogni segmento possa essere attribuita una lunghezza, anche se possiamo solo averla per approssimazione, ci porta al concetto di continuita'.
Pensiamo che fra ogni coppia di punti dello spazio ce ne sta uno in mezzo, e che possiamo andare nel fino quanto vogliamo, e dividere ogni tratto di una curva che disegnamo in pezzettini, all'infinito, e che lo spazio si fatto cosi', continuo, rappresentabile con numeri reali, in tre dimensioni. E nella nostra matematica trattiamo come un tutt'uno lo spazio ed i nostri numeri reali, che vogliamo lo rappresentino. Anche il tempo lo pensiamo cosi', con l'idea che fra due istanti ce ne sia sempre uno in mezzo.
Il concetto di continuita' e' un punto molto importante della nostra matamatica, in qualche modo e' presente fin dai lavori dei greci, ma viene formulato (e se ne prende coscienza) solo attorno al 1800, coi lavori di Leibnitz e Newton [8]. Tutta la meccanica che usiamo e' basata sull'ipotesi di continuita' di spazio e tempo, a anche l'elettronica. E con questa roba calcoliamo il moto dei pianeti e lanciamo razzi per le telecomunicazioni e facciamo tante altre cose utili, ovviamente alla fine facciamo delle approssimazioni, perche' non e' che tutto il marchingegno funzioni alla perfezione, ma le approssimazioni ci bastano.
Il concetto di continuita' e' implicito in tutta la fisica e matematica ed ingegneria di oggi, ed e' cosi' radicato che non ci rende piu conto che lo stiamo usando, assumendolo implicitamente.
Con l'idea della continuita' di spazio e tempo nasce anche l'idea della derivata: cosideriamo ad esempio la velocita', espressa come rapporto fra la distanza e il tempo impiegato a percorrerla Es. Km/ora. La scriviamo come una divisione ds/dt, usando simboli ds e dt per l'intervallo di tempo e l'intervallo di spazio percorso. Invece di usare dt un'ora possiamo usare un secondo un centesimo, un millisecondo e contemporaneamente pensiamo ad un intervallo di spazio piccolo in corrispondenza, e andando oltre possiamo pensare i nostri intervalli proprio piccolissimi, se lo spazio ed il tempo sono continui possiamo andare nel fino quanto vogliamo.
Il rapporto ds/dt per dt piccolissimo, che tende a zero, esprime la velocita' in un istante, e cosi' abbiamo anche una accelerazione istantanea, limite del rappporto fra la differenza di velocita' ed il tempo, per l'intervallo di tempo tendente a zero. Questi rapporti al limite si chiamano derivate.
Tutta la meccanica che usiamo e' fatta di equazioni con velocita', accelerazioni, sono equazioni differenziali cioe' fatte di derivate, con cui si calcola la caduta di un peso o la traiettoria di un proiettile, ma anche il moto dei pianeti ed il lancio dei satelliti. E, al solito, credendo che il nostro pensiero e i nostri modelli siano la realta' c'e' gente che pensa che il mondo sia una grande equazione differenziale, da risolvere, per sapere calcolare tutto.
Qualcuno (forse Galileo) ha detto perfino che "la matematica è la lingua in cui Dio ha scritto l'universo".
In realta' siamo noi che ci siamo costruiti tutto quanto, una costruzione faticosa, visto che si e' partiti contando sulle dita, un grande castello di astrazioni accavallate una sull'altra, ma alla fine e' venuto fuori qualcosa con cui riusciamo a rappresentare alla meno peggio il mondo che ci circonda e a svilupparci tutta una tecnologia. La matematica ha molti limiti, di cui dovremmo essere piu' consci; la nostra matematica alla fine e' la matematica della somma, piu' in la' di tanto non arriva, ma e' tutto quello che abbiamo, quello che noi "scimmie industriose" siamo riusciti a crearci
[1] | Il sistema decimale e' quello che si trova di piu' nell'antichita' ed e' quello che usiamo oggi, pero' ci sono stati anche sistemi diversi: ad esempio i Maya sembra usassero un sistema di base 20 invece che 10, ed in mesopotamia si usava un sistema a base 60, con cui e' piu' faciie fare le divisioni. |
[2] | Detta cosi' potra' sembrare una cosa intuitiva, invece l'idea dello zero e dei numeri negativi e' arrivata da noi tardi, non prima del 1000, tramite lavori degli arabi, che riprendevano matematici indiani. Questi usavano lo zero e numeri negativi, con una notazione decimale simile a quella odierna: con la posizione del simbolo numerico nella cifra che indica se sono unita', decine, centinaia etc.. Nell'uso pratico il sistema di notazione decimale che usiamo oggi ha preso piede solo dopo i lavori del Fibonacci del 1200. |
[3] | I matematici (e certi filosofi) trattano i numeri come fossero entita' reali, e non solo una nostre astrazioni sviluppate per risolvere problemi pratici, per questo, per loro, l'infinito e' sempre stato un problema. Si puo' dire che un infinito e' piu' grande di una altro ? E come ? E quanti tipi di infinito ci sono ? Questi terribili problemi hanno agitato le menti di diversi matematici del 900, in particolare ci ha lavorato George Cantor. Qui si inseriscono nel sistema dei numeri i concetti di appartenenza e di insieme, che non sono proprio legati alle idee di quantita e sequenza, ma al solito i ragionamenti umani mischiano astrazioni diverse. Ci vuole un bel po' di impegno per capire le argomentazioni dei matematici che hanno affrontato l'argomento, ma in definitiava si ha che i numeri reali hanno l'infinito piu' grande (ma qui si parla di "idempotentza") e di piu' "grandi" non ce ne sono. Che implicazioni abbia questa cosa non lo so, ma si poteva indovinare che finiva cosi', visto che nella nostra idea del continuo fra due reali qualunque ce ne stanno quanti se ne vuole. |
[4] | Anche nei trattati di Euclide, di prima di Cristo, per capire i numeri si fanno disegni di segmenti e si confrontano (Elementi, libri 7-9) |
[5] | Anche qui la ho fatta semplice, raccontando il tutto come un percorso lineare, ma non e' stato cosi'. Queste idee si sono sviluppate lentamente, costruite come fanno gli umani in modo caotico e complicato, fra liti e discussioni; all'uso dei simboli e della notazione odierna si e' arrivati solo un 400 anni fa. |
[6] | Chiamiamo questi numeri "periodici", il fatto che un numero sia periodico dipende dalla base, cioe' in quante parti dividiamo il resto nella nostra rappresentazione dopo la virgola. |
[7] | Questo mise in grande crisi i filosofi pitagorici dell'antica grecia, che credevano nei numeri. |
[8] | La definizione di continuita' che va di moda oggi e' quella di Dedekin che si puo' formulare come segue: se i punti d'un segmento sono distribuiti in due classi (non vuote) H e K, per modo che:
allora esiste un punto di separazione tale che tutti i punti che lo precedono appartengono alla classe H, e tutti quelli che lo seguono alla K. Certi matematici credono nel formalismo e concepiscono la matematica come un insieme di enunciazioni puramente formali, completamente svincolate da ogni contesto. Tanti anni fa, arrivato all'universita', mi trovai un corso di "analisi I" che inizio' proprio con una definizione dei numeri reali di questo tipo, totalmente incomprensibile ad uno studente uscito dal liceo classico. Solo anni dopo leggendo un libro, che NON era il libro di testo, capii che stava parlando del concetto di continuita', ma l'idea si era completamente persa affogata nel puro formalismo. |