L'abitazione
di città delle famiglie patrizie era la domus,
una dimora spaziosa e accogliente a uno o due piani. Le pareti erano
dipinte a colori vivaci e i pavimenti abbelliti da mosaici di marmo.
Nei bagni e nelle cucine delle case più grandi e
più lussuose arrivava l'acqua corrente dagli acquedotti che rifornivano la
città. Una parte della domus era riservata alle stanze della
servitù, naturalmente meno confortevoli di quelle dei
padroni.
Il tetto era coperto da tegole ed era dotato di grondaie per lo scarico
dell'acqua piovana. Le finestre di tutta la casa si affacciavano verso
l'interno: le stanze ricevevano l'aria e la luce dall'atrio, il cortile
situato al centro della casa ed era una grande sala a cielo aperto, con
al centro una grande vasca, detto impluvio, che raccoglie l'acqua
piovana, usata dai servi per fini domestici. Nell'atrio si trovava
anche l'altare per il culto dei Lari,dei protettori della casa. Dalla
strada si accedeva all'atrio attraverso un corridoio detto vestibolo.
Sull'atrio si affacciavano le camere o cubicoli,
che erano strette e prive di finestre e la cucina, che era un
locale piccolo con un foro nel tetto per lasciare
uscire il fumo, il bagno, le stanze dei servi e altre camere per
eventuali ospiti.
Di fronte all'ingresso si trovava il tablino, luogo
di riposo del capo famiglia e superato questo c'era il peristilio,
un giardino privato circondato da portici e abbellito da aiuole, statue
e fontane.
Dal peristilio si accedeva al triclinio,
la sala da pranzo, ampia per accogliere i letti sui quali si stendevano
i commensali per mangiare.
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